
Questo il circostanziato convincimento di Alberta Marzotto, autrice dell'interessante articolo che pubblichiamo per intero ( Repubblica.it)
Dal punto di vista del consumatore si ripropone l’eterna gerarchia di classe. Il vertice della piramide è formato da chi può starsene fuori dal mercato perché si gode e fa godere agli amici l’olio, l’aceto, il vino, le carni, la pasta, le verdure proprie. Ma questo è il privilegio di pochissimi, anche perché la qualità non è certo assicurata dal fai da te. C’è poi chi ha palato e conoscenza sufficienti a selezionare le nicchie migliori dell’offerta commerciale. E’ il tipico intenditore che, venendo da Bruxelles, non propone il cioccolato Godiva ma quello di Pierre Marcolini, e se sta in Italia non offre il pur grande Peyrano, ma Amadei o il chocolatier sconosciuto per il quale garantisce lui. Infine, si moltiplicano quanti dall’esibizione del cibo e del vino si attendono lo stesso effetto di comunicazione e di promozione sociale che viene di solito riservato all’abbigliamento, ai gioielli, alla casa griffata. Ed è su questa base di clientela che punta l’industria del food di eccellenza per conquistare nuove posizioni.
E’ la partita nuova nella quale il made in Italy potrà avere buon gioco se saprà navigare tra le furbizie di Harrod’s che, dovendo scegliere un miele toscano, propone quello della celebrity Sting e la ricerca scientifica della Laurent Perrier che ai milioni di bottiglie tradizionali associa da qualche tempo con crescente successo le bollicine Ultra Brut a basso contenuto calorico, lanciate da Harvey Nichols’ con uno stuolo di mannequin.